“Il teatro è il primo sismografo di un Paese”
– Peter Brook
C’è una giornata, nel calendario della bellezza e della coscienza, in cui il mondo si ferma ad ascoltare una voce antica: quella del teatro. Ogni 27 marzo, da oltre sessant’anni, la Giornata Mondiale del Teatro è più di una commemorazione: è un invito al silenzio e all’ascolto, una preghiera laica pronunciata tra velluti e polvere, tra scene dipinte e corpi vivi. È il giorno in cui, nel frastuono digitale del nostro presente, si riaccende l’eco di quel luogo che da millenni custodisce il mistero dell’essere umano: il palcoscenico.
Perché il teatro, ancora oggi, non è solo un’arte. È un rito, una resistenza, una trasfigurazione. È il gesto che trasforma la realtà in simbolo, il dolore in canto, la parola in carne.
Nel cuore delle città, nei borghi dimenticati, nei teatri di guerra e nei salotti borghesi, ovunque ci sia un attore che parla e uno spettatore che ascolta, il teatro avviene. E accade anche dove non lo si aspetta: nelle carceri, nei reparti psichiatrici, nei laboratori scolastici, nelle stanze degli ospedali. Perché il teatro è l’arte dell’incontro, e l’incontro – oggi più che mai – è rivoluzionario.

Viviamo un’epoca in cui la connessione ha preso il posto della presenza. I corpi si osservano attraverso schermi, le emozioni si riducono a emoji, i pensieri si condensano in didascalie. In questo scenario, il teatro è l’ultimo rifugio del respiro condiviso. È un patto fragile e potente: io sono qui, tu sei qui, viviamo insieme questa finzione che ci riguarda più della realtà.
Antonin Artaud, profeta del teatro crudele, scriveva: “Il teatro è la peste, è una crisi che si risolve nella morte o nella guarigione”. Perché il teatro non consola: brucia, rivolta, mette a nudo. Ed è proprio questo il suo dono. Quando un’attrice sale sul palco e offre se stessa, quando un regista disegna un tempo immaginario, quando una luce squarcia l’ombra e rivela un’anima, accade un miracolo. E quel miracolo non si replica. È irripetibile, unico, vivo.
Ci sono teatri che si ricordano come si ricordano le case dell’infanzia. Un odore, un velluto, una balaustra. Ci sono battute che restano impresse più di una poesia. Ci sono notti in cui uno spettacolo cambia per sempre il nostro modo di vedere il mondo.
Il teatro è memoria collettiva. È un archivio vivente in cui si stratificano tragedie greche, farse popolari, monologhi intimi, urla politiche. È Sofocle e Sarah Kane, Goldoni e Ionesco, Pirandello e Caryl Churchill. È la voce di chi, in ogni tempo, ha osato porre una domanda scomoda.

Eppure, troppo spesso, il teatro viene relegato ai margini. I fondi si tagliano, le stagioni si accorciano, i giovani artisti faticano a vivere del loro mestiere. Ma nonostante tutto, il teatro non muore. Cambia forma, si adatta, si reinventa. Come accadde durante la pandemia, quando i palcoscenici si svuotarono ma le compagnie continuarono a provare. Perché il teatro, diceva Grotowski, è “l’attore e lo spettatore in uno spazio condiviso. Tutto il resto è orpello.”
Il pubblico spesso ignora la fatica che si cela dietro la grazia. Le ore di prove, le notti insonni, i rifiuti, le paure, le rughe, le ginocchia rotte. Eppure, ogni sera, quegli attori salgono in scena per donare una parte di sé, e spesso lo fanno per un pubblico distratto, in una sala mezza vuota, con uno stipendio da fame. Ma lo fanno. Perché il teatro, quando lo hai dentro, non è una scelta, è una vocazione.
E il pubblico – quando è vero, presente, grato – restituisce quell’amore con uno sguardo. Con un silenzio. Con un applauso che non è rumore, ma un abbraccio.
In un mondo che ci vuole spettatori passivi, il teatro ci chiede di partecipare. Di scegliere. Di sentire. Di metterci nei panni di chi non siamo, per capire chi siamo. Ci chiede coraggio, perché il teatro, come l’amore, espone. Ci mette in discussione.
Oggi, in questa Giornata Mondiale del Teatro, non celebriamo solo un’arte. Celebriamo un’idea di umanità che non si rassegna alla superficialità. Che cerca senso, bellezza, verità. Che crede che una storia possa ancora cambiare il destino di chi la ascolta.
“Siamo fatti anche noi della materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno.”
– William Shakespeare, La Tempesta
Il teatro è quel sogno. E noi, quando entriamo in sala, siamo svegli e sognanti, fragili e infiniti.
Buona Giornata Mondiale del Teatro a chi lo fa, a chi lo ama, a chi lo difende ogni giorno.
Perché finché ci sarà un palcoscenico e qualcuno disposto a raccontare, non saremo mai davvero soli.