Nagla Augelli ci consegna, con Difettosa, un’autobiografia che sfida il lettore a guardare il mondo con occhi diversi, a spogliarsi di ogni pregiudizio e a ridere dell’assurdo, della fragilità, persino del dolore. Non è un memoir che si trascina nel vittimismo né una cronaca malinconica di avversità, ma un testo di disarmante ironia, che coglie la vita nella sua essenza più cruda e, proprio per questo, più autentica.
La copertina, un cuore stilizzato spezzato e ricucito, anticipa l’anima del libro: non c’è pretesa di redenzione o epica ricostruzione, ma una schietta celebrazione della resilienza. Questo cuore, che non nasconde le sue ferite, diventa simbolo della narrazione di Augelli, dove ogni cicatrice è narrata con la precisione chirurgica della sua esperienza — ventuno interventi, ventuno capitoli — e trasformata in una risata che sa di liberazione.
Lo stile di Augelli si muove tra il sarcasmo e la riflessione, tra il racconto autobiografico e l’analisi sociale, sempre con una penna affilata, mai gratuita. Non c’è compiacimento, non c’è spazio per pietismi. L’autrice prende le convenzioni e le spezza con la disinvoltura di chi ha imparato che la vera ribellione è non lasciarsi definire dalle etichette. L’abbandono genitoriale, la disabilità, le aspettative della società: tutto viene smontato pezzo per pezzo con la leggerezza di chi ha scoperto che, talvolta, ridere è l’unico modo per non cedere.
Particolarmente potente è il modo in cui Difettosa affronta il corpo, un corpo che la società definirebbe “difettoso” ma che l’autrice riesce a narrare come un campo di battaglia dove ogni ferita è anche un trofeo. Augelli restituisce al corpo la sua complessità, la sua unicità, sfidando i canoni estetici e sociali che vorrebbero appiattirlo in un modello inarrivabile. La disabilità, lungi dall’essere ridotta a un problema da risolvere o a una condizione da idealizzare, è raccontata con schiettezza e umanità: è un aspetto della vita, non l’intera vita.
Un tema centrale e raramente esplorato con tanta naturalezza è quello della sessualità, spesso relegato a un tabù nel contesto della disabilità. Augelli vi si addentra con uno sguardo privo di ipocrisia, restituendo al desiderio e all’intimità la loro dignità, e ridicolizzando l’imbarazzo altrui con un’ironia spiazzante. La sua scrittura diventa qui una forma di resistenza contro l’invisibilità, una rivendicazione del diritto di esistere pienamente, senza compromessi.
Il libro non si limita a essere una testimonianza personale: è anche una denuncia, un’analisi pungente di una società che erige barriere — fisiche e mentali — contro chiunque non rientri nei suoi schemi. Le barriere architettoniche diventano metafora di quelle mentali, mentre ogni ostacolo affrontato e superato dall’autrice si trasforma in un atto di resistenza. Eppure, non c’è amarezza: Difettosa è permeato da una leggerezza che sa di rivincita, di libertà.
Non è solo la storia di una donna che ha imparato a convivere con le sue cicatrici, ma un invito a ripensare il nostro rapporto con la diversità. Augelli non chiede indulgenza né ammirazione: chiede di essere vista per quello che è, al di là di ogni stereotipo. Con una scrittura che si muove tra il poetico e il disarmante, l’autrice ci regala un libro che non si dimentica, un’opera capace di lasciare un segno profondo nel lettore.
In definitiva, Difettosa è una celebrazione dell’autenticità, un inno alla bellezza dell’imperfezione. È il racconto di una lotta personale che diventa universale, una testimonianza che ci ricorda che la vera forza risiede nella vulnerabilità e che il coraggio di essere se stessi è il dono più grande che possiamo fare al mondo. Un libro necessario, che ci invita a ridere, a riflettere e, soprattutto, a vivere.