La sera del 25 novembre 2024, il Teatro Vascello di Roma si è trasformato in un laboratorio artistico, accogliendo Syro Sadun Settimino, un’opera che intreccia musica, danza, poesia e cinema in un dialogo intimo e universale. Nato dalla collaborazione tra Sylvano Bussotti e Dacia Maraini, il lavoro è stato presentato in una nuova versione, capace di legare la forza sperimentale degli anni Settanta con le istanze contemporanee di fluidità identitaria.
Al centro della scena, il racconto di Syro, un giovane sospeso tra la fragilità e la ricerca di definizione, prende forma attraverso la voce recitante di Manuela Kustermann. Il testo di Maraini, riscritto per questa occasione, diventa un filo sottile ma robusto, carico di immagini e tensioni, capace di evocare non solo la vicenda di Syro, ma anche il suo universo interiore. La narrazione si intreccia con la musica di Bussotti, eseguita dall’Ensemble Roma Sinfonietta sotto la direzione di Marcello Panni. Le note, ricche di contrasti, evocano un dialogo tra dolcezza e inquietudine, accompagnando il percorso emotivo e fisico del protagonista.
Carlo Massari, interprete e danzatore della C&C Company, porta sul palco una fisicità complessa, frammentata e in costante trasformazione. I suoi movimenti si mescolano alle proiezioni tratte da RARA, film sperimentale di Bussotti, restaurato dalla Cineteca Nazionale di Bologna. Le immagini si sovrappongono al corpo danzante, creando uno spazio visivo che amplifica il senso di indefinitezza e metamorfosi.
La musica, elemento centrale dell’opera, esplora un linguaggio denso e stratificato. Bussotti costruisce una partitura che dialoga con il silenzio, alternando momenti di lirismo a esplosioni sonore più abrasive. La direzione di Marcello Panni riesce a tenere insieme questi contrasti, donando coesione a un’opera che, nella sua complessità, si pone volutamente fuori dagli schemi tradizionali.
Il pubblico, immerso in questa esperienza multisensoriale, viene condotto in un viaggio che non offre risposte ma apre interrogativi. Syro non è solo un personaggio, ma un simbolo della fluidità e dell’ambiguità che caratterizzano l’essere umano. La sua danza, fragile e potente al tempo stesso, diventa un grido silenzioso, un’affermazione di esistenza che si oppone alla rigidità delle definizioni.
Quando le luci si abbassano e il sipario si chiude, rimane la sensazione di aver partecipato a qualcosa di unico, un’opera che non si limita a rappresentare ma trasforma, portando lo spettatore in un luogo in cui i confini tra le arti, le identità e i linguaggi si dissolvono per lasciare spazio a nuove possibilità. Syro Sadun Settimino è un esempio raro di come l’arte possa interrogare e scuotere le certezze, offrendo al contempo un’esperienza estetica e intellettuale profonda.