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L’eruzione che cambiò la storia: quando il Vesuvio cancellò Pompei (ma non la memoria)

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Tra manoscritti ambigui, reperti archeologici e congetture moderne, il mistero della data dell’eruzione del 79 d.C. ci invita a riflettere sulla fragilità della conoscenza umana.

Il mistero della data dell’eruzione del Vesuvio è una questione che sembra intrecciare inestricabilmente filologia, archeologia e interpretazioni culturali. Non si tratta semplicemente di stabilire un giorno e un mese su una linea temporale, ma di comprendere come una serie di congetture, errori e deduzioni abbiano modellato la nostra percezione di uno degli eventi più drammatici dell’antichità. L’eruzione del Vesuvio, che seppellì Pompei ed Ercolano nel 79 d.C., è un punto di riferimento nel tempo, un simbolo di distruzione e conservazione. Tuttavia, la sua collocazione esatta nel calendario è tutt’altro che certa.

Il primo passo per affrontare il problema è tornare alle fonti originali. La principale testimonianza è quella di Plinio il Giovane, che nelle sue lettere a Tacito descrive l’eruzione osservata da Miseno. Plinio fornisce una data precisa: il “nono giorno dalle calende di settembre”, che corrisponde al 24 agosto secondo il nostro calendario moderno. Questo dato, trasmesso attraverso i manoscritti medievali, sembrava offrire una base solida. Tuttavia, le tradizioni manoscritte raramente sono prive di ambiguità. In alcuni esemplari, la parola “nono” è stata letta come “novem”, suggerendo il mese di novembre. Questa confusione ha dato origine a una serie di interpretazioni alternative, nessuna delle quali è mai stata pienamente soddisfacente.

La storia moderna della datazione alternativa inizia nel XVIII secolo, quando Carlo Maria Rosini osservò che alcuni indizi archeologici sembravano indicare un’eruzione avvenuta in autunno piuttosto che in estate. Rosini, basandosi su elementi come la maturazione di frutti e l’uso di bracieri nelle case, propose la data del 23 novembre. Questa tesi, pur interessante, non trovò grande seguito, ma aprì la strada a una serie di ulteriori speculazioni.

Un elemento chiave di questo dibattito è il concetto di “autunno” nella Roma antica. Oggi, tendiamo a considerare le stagioni secondo un calendario astronomico, con l’autunno che inizia all’equinozio di settembre. Ma per i Romani, le stagioni erano definite diversamente. Plinio il Vecchio, ad esempio, descrive un calendario agricolo in cui l’autunno inizia a metà agosto e termina a metà novembre. Questa discrepanza rende meno anomala la data del 24 agosto, che potrebbe cadere entro l’autunno romano.

Nel XX secolo, il dibattito si intensificò. Nel 1929, Giovanni Battista Alfano e Immanuel Friedlaender pubblicarono un articolo che proponeva la data del 24 ottobre. Questo risultato, però, si basava su un’errata interpretazione della tradizione manoscritta. Alfano e Friedlaender lessero “non.” come abbreviazione per “nono giorno”, ma attribuirono il mese di novembre (nov.) senza considerare che i due termini fossero semplicemente due varianti dello stesso errore paleografico. La data del 24 ottobre divenne così una sorta di verità accettata, nonostante fosse priva di solide fondamenta.

Negli anni successivi, l’archeologia ha fornito nuovi elementi per arricchire la discussione. I ritrovamenti di frutti autunnali, come melograni e noci, insieme alla presenza di tessuti pesanti e bracieri accesi, sembravano suggerire un contesto più compatibile con una datazione autunnale. Nel 2002, Grete Stefani e Michele Borgongino pubblicarono uno studio in cui sostenevano che l’eruzione fosse avvenuta in autunno, basandosi su una combinazione di evidenze botaniche, archeologiche e numismatiche. Tuttavia, anche queste conclusioni non erano definitive. Una moneta trovata nella Casa del Bracciale d’Oro, che riportava una titolatura successiva a luglio 79 d.C., sembrava confermare una data post-estiva, ma la sua interpretazione fu in seguito messa in dubbio a causa del cattivo stato di conservazione.

Un momento cruciale nel dibattito si verificò nel 2018, con la scoperta di un’iscrizione a carboncino nella Casa del Giardino a Pompei. La scritta, datata al 17 ottobre (“XVI K NOV”), sembrava offrire una prova definitiva a favore di una data autunnale. Tuttavia, questa scoperta sollevò ulteriori domande. Essendo il carboncino un materiale effimero, è improbabile che l’iscrizione sia rimasta leggibile per più di qualche mese. Questo implica che, se fosse stata scritta nell’ottobre del 78 d.C., non sarebbe stata visibile al momento dell’eruzione. Eppure, anche questa evidenza è stata contestata. Alcuni studiosi, come Pedar Foss, hanno sottolineato che l’iscrizione, pur significativa, non costituisce una prova conclusiva.

Foss ha inoltre riesaminato l’intera questione, dimostrando che tutte le date diverse dal 24 agosto sono frutto di errori o congetture. Nonostante ciò, la sua analisi non invalida la possibilità che Plinio il Giovane possa essersi sbagliato. Dopo tutto, la memoria umana è fallibile, e non possiamo escludere che egli abbia confuso i mesi o le circostanze.

Alla fine, ciò che emerge è un quadro complesso, in cui la certezza è un’illusione. La data dell’eruzione del Vesuvio è stata manipolata da generazioni di studiosi, ognuno dei quali ha aggiunto un tassello a un mosaico già frammentato. Non si tratta di un fallimento della scienza, ma di una dimostrazione della sua natura dialogica. La conoscenza non è un monolite immutabile, ma un processo in continua evoluzione, costruito attraverso l’interazione di fonti, evidenze e interpretazioni.

Forse non scopriremo mai con certezza il giorno esatto in cui Pompei fu sepolta. Ma in fondo, questa incertezza è ciò che rende la questione così affascinante. Non è solo una questione di date, ma un viaggio attraverso il tempo, un’esplorazione delle nostre capacità di comprendere il passato e di confrontarci con i limiti della conoscenza umana. La storia dell’eruzione del Vesuvio non è solo una storia di distruzione, ma anche una storia di ricerca, dubbio e, in ultima analisi, di umiltà.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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