Tomaso Binga e María Ángeles Vila Tortosa
a cura di Benedetta Carpi De Resmini

Il percorso espositivo apre un dialogo intergenerazionale tra due straordinarie artiste: Bianca
Pucciarelli Menna in arte Tomaso Binga (nata a Salerno nel 1931) e María Ángeles Vila Tortosa
(nata a Valencia nel 1978).
Un incontro tra due donne apparentemente distanti, portatrici attraverso il loro lavoro di un senso di
esistenza diverso, che mette in discussione forme di dominio, gerarchia e appropriazione tipiche
della modernità capitalista, patriarcale e antropocentrica.
Il filo conduttore che lega le due artiste è il linguaggio delle piante e un legame profondo tra corpo e
natura. María Ángeles Vila Tortosa esplora il mondo delle piante, attraverso la tecnica della stampa,
riflettendo sulla loro significativa importanza nel quotidiano per la protezione e la cura domestica e
per le connessioni viscerali e primordiali con il genere umano. Le opere di Tomaso Binga, realizzate
dagli anni Settanta ad oggi, dimostrano come la natura sia intimamente connessa all’arte, alla sfera
dell’umano, soprattutto al corpo delle donne, rivelando l’adesione epistemologica dell’autrice al suo
genere femminile e sfidando pratiche secolari di assoggettamento.
La mostra invita alla riflessione sulla nostra relazione con la Terra e il mondo vegetale. È un richiamo
alla visione biocentrica dell’universo e nasce dalla volontà di rivelare le molteplici connessioni, anche
inconsapevoli, nel lavoro di Tomaso Binga e María Ángeles Vila Tortosa con gli studi dell’archeologa
Marija Gimbutas (Vilnius 1921 – Los Angeles 1994), incentrati intorno al sacro identificato con la
natura e con il femminile. L’archeologa, infatti, ha contribuito a diffondere nel mondo contemporaneo
la coscienza di come la Terra fosse anticamente venerata come Dea Madre Creatrice, evidenziando
la necessità di una concezione ciclica dell’universo.
La Terra, intesa come Madre-Terra, diventa lo spazio linguistico entro cui si muove la ricerca della
mostra: è la matrice da cui emerge una rinnovata attenzione verso il mondo vegetale, un universo
in armonia con i ritmi stagionali e naturali.

Le connessioni tra le opere di María Ángeles Vila Tortosa e Tomaso Binga svelano l’essenza stessa
dell’esistenza umana, intessuta con le trame della natura e del corpo della donna biologicamente
disposto all’accoglienza dell’altro.
Il corpo, come appare nell’opera di Tomaso Binga, apre la mostra e si estende fino a diventare
linguaggio e poi grafema desemantizzato che si trasforma in stelo di fiori: il discorso si arricchisce di
un nuovo senso attraverso il gemmare grafico di elementi vegetali, quasi a suggerire una nuova
rilettura più consapevole del mondo.
I numerosi Dattilocodici di Tomaso Binga dialogano con Herbario doméstico di María Ángeles Vila
Tortosa, un’opera monumentale realizzata negli ultimi anni con più di cento elementi. Diversamente
da quanto accade nell’opera di Tomaso Binga, dove il corpo diventa linguaggio e poi elemento
vegetale, nell’opera di Vila Tortosa sono le piante a diventare corpo e a creare una diversa
grammatica.
Perno centrale di questa mostra è dunque il corpo “gravido” della Natura che si estende fino ad
aprire un dialogo-incontro
. Grazie, infatti, al ribaltamento voluto dal progetto espositivo, alcune
stampe vegetali di Vila Tortosa sono utilizzate per ricreare una carta da parati parafrasando l’opera
storica di Tomaso Binga, Carta da parato, casa Malangone del 1976.
Gli spazi del Mattatoio, nel padiglione 9b, che ospitano la mostra diventano così emblematici: un
luogo paradigmatico del sistema androcentrico, dove il corpo si trasforma in merce, ospita la sua
antitesi, il corpo-donna che si apre all’altro da sé, come atto di speranza, desiderio di suscitare
meraviglia di fronte ai fenomeni ciclici della natura e alla potenza rigenerativa delle piante.
A chiudere la mostra una doppia intervista alle due artiste realizzata dai Monkeys Video Lab durante
i mesi di lavorazione del progetto.
Il catalogo della mostra, edito da Quodlibet, conterrà testi della curatrice, di Giuseppe Garrera, Ilaria
Gianni oltre ad un testo dedicato a Marija Gimbutas della critica d’arte lituana Laima Kreivyte.