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Anfitrione di Plauto al Teatro Quirino: il genio della commedia classica incontra la modernità. La nostra Recensione.

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Emilio Solfrizzi porta in scena una rilettura brillante e dinamica del capolavoro plautino, tra inganni, identità e un’ironia che parla al pubblico contemporaneo.

Roma, 08 Ottobre 2024
Plauto, uno dei più grandi commediografi latini, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del teatro, grazie alla sua straordinaria capacità di intrecciare il linguaggio popolare con riflessioni universali sull’umanità. “Anfitrione” è una delle sue opere più celebri e si distingue per la fusione del comico con il tragico, giocando con il tema dell’inganno e del doppio. In questo capolavoro, Plauto mette in scena il dio Giove, che, innamorato di Alcmena, assume le sembianze del marito di lei, Anfitrione, per sedurla. L’inganno viene orchestrato con l’aiuto di Mercurio, che assume a sua volta l’identità del servo Sosia. Al ritorno del vero Anfitrione dalla guerra, si innesca una serie di equivoci, tra cui lo scontro tra il vero e il falso Anfitrione e il confronto tra i servi Sosia e Mercurio, creando una girandola di situazioni comiche e drammatiche.

L’allestimento curato da Emilio Solfrizzi, che ne è anche protagonista, si inserisce in un solco di grande prestigio nel teatro contemporaneo. La scelta di rappresentare “Anfitrione” al Teatro Quirino porta sul palco una rilettura di un testo classico che spesso viene proposto in manifestazioni estive. In questa occasione, tuttavia, lo spettacolo avrà un’ampia circolazione sui palcoscenici italiani, facendo rivivere al pubblico moderno le battute folgoranti e i travestimenti tipici del teatro plautino. Plauto compose la commedia in un periodo storico turbolento, quello della Seconda Guerra Punica (215-202 a.C.), quando Roma affrontava sconfitte devastanti. Nonostante ciò, il successo del commediografo rimase incontrastato, e le sue opere risuonarono nelle strade e nei teatri di una Roma alla ricerca di sollievo dalle difficoltà della guerra. Il genio di Plauto risiede nella capacità di costruire personaggi dinamici, espressivi e psicologicamente complessi, che con poche battute riescono a delineare un’intera gamma di emozioni umane, dall’iperbole comica alla riflessione malinconica.

In questo allestimento, la regia di Solfrizzi si distingue per la sua sensibilità nell’affrontare le difficoltà del testo originario, compromesso da una lacuna di circa 300 versi verso la fine del terzo atto. La mancanza delle scene in cui il vero e il falso Anfitrione si confrontano è stata colmata con l’inserimento di nuovi personaggi, tra cui la figura di Ercole e Ippofante, figli di Giove e Anfitrione. Questo espediente consente alla narrazione di mantenere la sua coerenza senza tradire lo spirito originale dell’opera.

La scenografia di Fabiana Di Marco e i costumi disegnati da Alessandra Benaduce contribuiscono a creare un mondo scenico essenziale ma potente. Le strutture mobili e gli spazi aperti permettono una fluida dinamica tra gli attori, che possono così muoversi agevolmente all’interno di una trama complessa e ricca di scambi. L’uso delle luci, curato da  Mirko Oteri, accentua i momenti di maggiore tensione e confusione, creando un contrasto visivo che riflette la natura duale della commedia: l’alternarsi di chiaro e scuro accompagna lo svelarsi e il nascondersi delle identità.

Solfrizzi, oltre a dirigere, interpreta un Anfitrione intriso di ambivalenza emotiva, oscillando tra stupore, rabbia e frustrazione. La sua interpretazione è arricchita da una mimica espressiva e da un uso sapiente del corpo, che rendono il personaggio non solo comico, ma anche tragicamente umano. Accanto a lui, Simone Colombari offre una performance eccezionale nel ruolo di Anfitrione, regalando momenti di irresistibile comicità nei suoi scontri verbali con Mercurio, interpretato con distacco e ironia da Rosario Coppolino. Sergio Basile, nel ruolo di Giove, diverte il pubblico con una recitazione volutamente enfatica e ironica, creando un’espressione di comicità teatrale vivace e sagace. Viviana Altieri, nel ruolo di Alcmena, conferisce al personaggio una compostezza che ben contrasta con il caos che si sviluppa intorno a lei, sottolineando il dramma personale di una donna vittima dell’inganno divino.

Il copione si sviluppa in un flusso rapido e scintillante, grazie alla capacità degli attori di mantenere un ritmo serrato e dinamico. Le continue battute tra i personaggi, soprattutto tra Sosia e Mercurio, creano un meccanismo farsesco perfettamente orchestrato, che diverte lo spettatore dall’inizio alla fine. La moltiplicazione degli equivoci e degli scambi di persona, tema ricorrente nel teatro di Plauto, viene qui portata all’estremo, generando situazioni comiche ma anche riflessioni più profonde sul ruolo delle apparenze e sull’identità.

“‘Homo homini lupus’”, affermava Plauto, e in questo allestimento tale massima trova espressione nei continui inganni e sotterfugi dei personaggi, ciascuno intento a perseguire il proprio tornaconto, ma anche a destreggiarsi in un mondo di illusioni.

La regia di Solfrizzi si arricchisce di intelligenti riferimenti alla contemporaneità, come la parodia del programma televisivo ” Affari tuoi ” e i richiami ad altre opere teatrali e cinematografiche, che non solo strappano sorrisi al pubblico, ma mostrano come le dinamiche dell’inganno e del doppio siano ancora oggi universali. Il lavoro risulta particolarmente agile e divertente, soprattutto nelle scene in cui la comicità si sposa con la riflessione, come nel caso delle interazioni tra il geloso Anfitrione e la confusa Alcmena. La rappresentazione, pur mantenendo fedeltà al testo classico, si arricchisce di elementi moderni che ne esaltano la contemporaneità, dimostrando quanto il teatro plautino, con i suoi temi di inganno e apparenza, sia ancora capace di parlare alla sensibilità del pubblico di oggi.

Al termine della rappresentazione, il pubblico, visibilmente entusiasta, ha tributato un caloroso applauso agli attori, riconoscendo non solo l’abilità interpretativa del cast, ma anche la capacità della regia di Solfrizzi di portare sul palco una commedia tanto antica quanto incredibilmente attuale. “Risus abundat in ore stultorum”, diceva Plauto, ma, in questo caso, il riso è stato la dimostrazione di una perfetta comprensione del gioco teatrale, capace di coniugare sapientemente l’eredità del passato con la vivacità del presente.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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