L’estate romana si arricchisce di un evento culturale di grande prestigio: il Festival di Caracalla, che quest’anno presenta due opere iconiche del repertorio pucciniano, “Tosca” e “Turandot”. Entrambe le produzioni, affidate alla regia di Francesco Micheli, sono caratterizzate dalle scenografie visionarie dello studio Fuksas, creando un dialogo audace tra tradizione operistica e innovazione scenografica.
Tosca: Un’Interpretazione Contemporanea
La “Tosca” di Micheli si distingue per una regia che evidenzia la violenza del potere religioso e politico, particolarmente sulle donne. La scenografia, concepita dallo studio Fuksas, trasporta lo spettatore in un paesaggio di frattali bianchi, una sorta di banchisa polare che, con la proiezione di testi, colori e immagini, accompagna i pensieri e le emozioni dei personaggi. Questo ambiente astratto si discosta radicalmente dai luoghi romani dell’opera, offrendo un’interpretazione visiva inedita e provocatoria.
Il regista introduce un parallelismo tra Floria Tosca e Anna Magnani, evocata nei costumi e nelle proiezioni, come nella celebre scena della morte in “Roma città aperta”. Questo confronto, benché suggestivo, finisce per indebolire la narrazione e l’emotività di momenti chiave come il “Vissi d’arte”. La scena del Te Deum, ad esempio, ricorda più il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo che un ringraziamento solenne per la vittoria su Napoleone.
La direzione musicale di Antonino Fogliani, seppur funzionale nel sostenere le voci, soffre di un’amplificazione sproporzionata che appiattisce i colori orchestrali e vocali. Notevoli le performance del coro diretto da Ciro Visco e dei bambini della scuola di canto corale del teatro, che avrebbero meritato maggior risalto scenico.
Tra gli interpreti vocali, spicca Carmen Giannattasio, che offre una Tosca volitiva e simpatica, ricordando una Magnani più popolana che diva. Saimir Pirgu, nel ruolo di Cavaradossi, brilla per estroversione e sicurezza scenica, mentre Claudio Sgura, nei panni di Scarpia, appare meno incisivo del solito, forse penalizzato da scelte registiche discutibili.
Turandot: Una Visione Innovativa
Il secondo titolo pucciniano, “Turandot”, celebra il centenario della morte del compositore con una reinterpretazione che trasforma la protagonista in una giovane Hikikomori. Questa figura, reclusa nella propria stanza, vive l’azione teatrale come un videogioco, un concept che, seppur interessante dal punto di vista sociale, risulta estraneo all’immaginario cinese di Gozzi e alla musica di Puccini.
La scenografia di Fuksas, identica a quella di “Tosca”, appare nuovamente poco pertinente, mentre la scelta di collocare il coro in buca limita l’espressività drammatica. La regia di Micheli conclude l’opera con la morte di Liù e l’abbraccio di Turandot, un finale che sorprende il pubblico e solleva dubbi sulla coerenza narrativa. Musicalmente, lo spettacolo brilla sotto la direzione di Donato Renzetti, che offre una concertazione chiara e variegata. Splendida la prova del coro, diretto da Ciro Visco, nonostante la collocazione poco favorevole. Angela Meade, nel ruolo eponimo, incanta con una voce ampia e omogenea, mentre Luciano Ganci, nei panni di Calaf, si distingue per sicurezza vocale. Maria Grazia Schiavo emoziona come Liù, nonostante le limitazioni registiche.
Il Festival di Caracalla offre un’esperienza operistica ricca di spunti di riflessione e innovazione. Le scenografie di Fuksas, pur divisive, rappresentano un tentativo audace di rileggere Puccini in chiave contemporanea, dimostrando come l’arte possa continuamente reinventarsi e dialogare con il presente. Photocredit@FabrizioSansoni
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