Mancano ormai pochissime settimane e poi potremo dare definitivamente il triste addio al gioco del calcio. Non tanto per l’orrendo inno dei mondiali brasiliani cantato da Pitbull (che sembra uscito da una puntata della serie Gomorra), quanto per la decisione che il massimo organo mondiale, la FIFA, prenderà in concomitanza del prossimo congresso che si terrà a San Paolo alla vigilia del mondiale.
Il 77enne Blatter, come riporta il sito El Confidencial sembrerebbe infatti intenzionato a normalizzare sotto il profilo giuridico l’attività dei fondi d’investimento che speculano nel calcio rilevando quote di società e calciatori, frequenti soprattutto in Sudamerica. L’intenzione di Blatter è quella di uniformare la disciplina a livello globale evitando che siano una minaccia per l’integrità delle competizioni.
Dovrà però fare i conti con Michel Platini, Presidente UEFA, da sempre contro ai fondi d’investimento nel calcio. Era il dicembre 2013 quando dichiarava “è difficile capire come i calciatori, che hanno lottato così tanto e così a lungo per essere indipendenti dai club, arrivando alla sentenza Bosman, siano ora controllati da questi fondi. Non l’accetto e lotterò’ con tutte le mie forze contro questo sistema” ricordando che “se la Fifa non prenderà provvedimenti, lo faremo noi!”
Platini, a dispetto di Blatter è favorevole al modello dei “soci” alla spagnola. Assume quale modello ispiratore quello delle proprietà di Barcellona, Real Madrid, Osasuna e Athletic Bilbao, dove i presidenti vengono eletti dai soci, “che hanno il loro stadio, che investono sui giovani mantenendo una propria identità, un modello ideale. Devono però anche garantire di non spendere più di quanto incassano“.
Quella dei fondi d’investimento, unitamente all’ingresso di oligarchi nel mondo del calcio e all’attività di agenti monopolisti, come brillantemente raccontato da Pippo Russo nel suo ultimo libro “Gol di rapina“, è una vera e propria economia parallela che sta divorando l’ex gioco più bello del mondo. Il male del calcio non sono (solo) i cori razzisti o Genny a ‘ carogna, bensì questo lato oscuro e poco conosciuto dalla massa dei tifosi che ogni domenica vanno allo stadio, macinano chilometri per andare in trasferta o scommettono ignari di quanto l’intero sistema sia manovrato e manovrabile da pochi.
Tutto è cominciato in Brasile, da oltre un decennio Mecca degli investitori che vogliono fare soldi facili con il calcio. Poi questo modello è sbarcato nel vecchio continente. Il Portogallo è il nuovo Eldorado. Noti sono i casi di David Luiz o Moutinho. Per non parlare del recente trasferimento di Neymar dal Santos al Barcellona. Le polemiche sull’opaco costo di trasferimento del cartellino ha spinto addirittura alle dimissioni il Presidente blaugrana Rosell e vede la società catalana indagata per frode fiscale. Ufficialmente si dice che sia stato pagato 57 milioni di euro, mentre la cifra realmente sborsata si aggirerebbe intorno ai 95 milioni. 38 milioni di differenza divisi fra commissioni sottobanco e un bonus alla firma, anche questo non dichiarato, di 10 milioni allo stesso giocatore.
Cosa fanno nella pratica i fondi d’investimento? Semplice: il calciatore non è più di proprietà del club, bensì del fondo d’investimento che lo ‘affitta’ alle società. Sempre più spesso sono riconducibili a società opache, che hanno sede in paradisi fiscali e sono controllate da intermediari sconosciuti. Questo vuol dire che ci sono calciatori che non controllano più le proprie carriere sportive e vengono trasferiti ogni anno per generare introiti a beneficio di individui anonimi il cui unico obiettivo è quello di mettere le mani sul denaro generato. Pippo Russo nel suo libro spiega nella pratica due esempi lampanti di questa nuova pratica e cioè quelli di Mascherano e Tevez che arrivarono al West Ham nel 2006 e che si scoprì qualche mese dopo essere stati ‘affittati’ dal club londinese. Pratica ovviamente vietata dalla legislazione vigente, eppur tollerata dalla federazione inglese per dei motivi illustrati nel libro.
Vi do un consiglio. Non innamoratevi più di nessun calciatore perché nessuno sarà fedele alla propria maglia. Le bandiere di una volta, come Maldini, Baresi, Del Piero o Totti non esisteranno più. I giocatori saranno (alcuni lo sono già!) schiavi di grigi uomini d’affari pronti solo a speculare. In barba a qualsiasi legge ed etica sportiva. E se pensate che il calcioscommesse sia finito con qualche mese di squalifica o patteggiamento, provate ad immaginare cosa potrebbe accadere se in un match si incontrano due squadre dove la maggior parte dei calciatori è gestita dallo stesso agente riconducibile allo stesso fondo d’investimento e dove anche gli allenatori sono rappresentati dagli stessi procuratori? Ora togliete il condizionale. perché questa condizione si verifica anche in Italia ogni domenica.
di Andrea Alessandrini Gentili @alessandrinigen
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