Home ARTE Frida e Nickolas: l’amore in posa. Sessanta scatti per raccontare l’anima segreta di una donna diventata icona
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Frida e Nickolas: l’amore in posa. Sessanta scatti per raccontare l’anima segreta di una donna diventata icona

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Sino al 20 luglio 2025, al Museo Storico della Fanteria di Roma, la mostra “Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray” svela la dimensione più intima dell’artista messicana attraverso l’obiettivo del fotografo che la amò e la ritrasse come nessun altro.

C’è una stanza, a volte, che si apre solo quando non guardiamo. Quando le finestre sono socchiuse, e il sole filtra attraverso tende leggere, come uno sguardo che non pretende di essere ricambiato. È lì che si incontrano, ancora una volta, Frida e Nickolas. Non nel clamore dei manifesti o nei santini della cultura popolare, ma nella pazienza segreta di una fotografia intima, accarezzata dal tempo.

Dal 15 marzo al 20 luglio, al Museo Storico della Fanteria, “Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray” non è semplicemente una mostra, ma un piccolo rituale laico. Sessanta fotografie per dire ciò che le parole non possono: la devozione silenziosa di uno sguardo, la tenerezza di un’ombra appoggiata su un volto.

Nickolas Muray, nato Miklos Mandl nel cuore austroungarico dell’Europa, arrivò a New York con un vocabolario smilzo in esperanto e una determinazione cieca, come se la luce americana avesse già promesso qualcosa al suo obiettivo. Divenne uno dei fotografi più ambiti del suo tempo, tra attrici vestite d’opera e scrittori inquieti, ma fu Frida – quella Frida che portava con sé i colori, i dolori e il Messico come un tempio – a rivelargli il segreto più grande: la bellezza non è posa, ma resistenza.

Si incontrarono quasi per caso nel 1931, a casa di Diego Rivera, e da quel giorno fu un rincorrersi intermittente di amori e partenze, lettere e baci stampati a rossetto. Lei scriveva: “You are a Lillie of the valley, my love. You are my whole live”, in quell’inglese scomposto che sembra il balbettio di una verità.

Le prime fotografie arrivano solo nel 1937. Troppo tardi per raccontare l’inizio, ma abbastanza per fissare il battito lento di un sentimento che non ha bisogno di spettatori. Muray la ritrasse come pochi seppero fare: mai oggetto, mai simbolo, ma persona. Una persona fragile, forte, messicana, sofferente, ironica, profondamente viva.

Attraverso il colore – che allora era ancora esperimento e avanguardia – Muray fece della fotografia un altare privato. Frida, nei suoi scialli Tehuana, tra cactus e pareti turchesi, appare come se stesse vegliando sul suo stesso mito. Non dipinta, ma documentata. Non interpretata, ma accolta.

Questa mostra – raccolta d’amore, diario visivo, confessione muta – non ci mostra Frida, ma ci invita a guardarla senza pretendere di capirla. Come si fa con le cose sacre.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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