"Il caso Jekyll" recensione
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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Il caso Jekyll”. La nostra recensione.

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Io porto dentro di me la chiave del mio destino, una forza oscura che risponde al richiamo del male.” Così si potrebbe sintetizzare il cuore del messaggio di Robert Louis Stevenson ne Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, pubblicato nel 1886, un’opera capace di esplorare con acuta profondità le contraddizioni dell’animo umano.

Questo romanzo non si limita a narrare una vicenda gotica: è un’indagine sull’eterno conflitto che agita la mente e il cuore degli uomini. Tra le righe, si delinea una battaglia fra luce e ombra, ordine e caos, civiltà e istinto primordiale. Il dottor Henry Jekyll, stimato uomo di scienza, diventa il creatore della propria rovina, incarnando il desiderio universale di trascendere i limiti imposti dalla morale. Edward Hyde, il lato oscuro di Jekyll, rappresenta l’inesorabile discesa in un abisso di libertà incontrollata e crudeltà.

Lungi dall’essere un semplice racconto di mostri e metamorfosi, l’opera anticipa le teorie psicoanalitiche che Freud avrebbe sviluppato di lì a poco. La dualità di Jekyll e Hyde incarna la coesistenza del principio di realtà e del principio di piacere, dell’Io e dell’Es, rivelando come l’uomo porti dentro di sé l’origine del male. È proprio questa complessità che rende il romanzo immortale, capace di adattarsi a epoche e sensibilità differenti.

Un esempio recente di tale adattamento è lo spettacolo teatrale Il Caso Jekyll, una produzione firmata da Fondazione Teatro di Napoli Teatro Bellini, Marche Teatro e Teatro Stabile di Bolzano. Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini, autori dell’allestimento, hanno trasformato il capolavoro di Stevenson in un affresco contemporaneo che risuona con le ansie e le ombre del nostro tempo.

La regia di Rubini si muove con maestria tra tensione drammatica e riflessione filosofica. Qui, Jekyll non è solo uno scienziato vittoriano, ma un simbolo universale dell’uomo che lotta contro se stesso, mentre Hyde emerge come l’ombra collettiva di una società che finge di non riconoscersi nei propri istinti più cupi. “Non raccontiamo solo una storia – spiega Rubini – ma mettiamo in scena il dialogo tra l’uomo e i suoi demoni.”

La scenografia di Gregorio Botta traduce visivamente questa battaglia interiore: un ambiente fluido e ambiguo, fatto di vetri opachi e geometrie sfuggenti, diventa al tempo stesso prigione e specchio dell’anima. Le luci di Salvatore Palladino accentuano l’atmosfera inquietante, alternando bagliori improvvisi e ombre dense che sembrano animarsi.

A rendere ancora più vivido questo mondo, i costumi di Chiara Aversano restituiscono l’essenza dell’epoca vittoriana, ma con dettagli che suggeriscono una modernità inquietante, quasi atemporale. Ogni elemento scenico contribuisce a immergere lo spettatore in un’esperienza sensoriale avvolgente.

Al centro della scena, Daniele Russo dà vita a Jekyll e Hyde con un’intensità straordinaria. La sua interpretazione è un gioco di equilibri tra vulnerabilità e ferocia, tra la compostezza del medico e la brutalità animale del suo alter ego. Russo passa con disinvoltura da toni sommessi a esplosioni di energia, offrendo una lettura profondamente umana di entrambi i personaggi.

Accanto a lui, Sergio Rubini incarna il dottor Lanyon e il narratore, guidando il pubblico con una presenza discreta ma incisiva. La sua regia non si limita a rievocare il testo originale, ma lo rinnova, facendone un’opera di grande attualità. Il progetto sonoro di Alessio Foglia è un ulteriore protagonista, con effetti che amplificano ogni emozione: il sussurro del vento, il rombo di passi nella nebbia, il respiro affannoso di Hyde. Ogni dettaglio sonoro diventa parte integrante della narrazione, amplificando il senso di immersione.

Lo spettacolo mantiene alta la tensione fino all’ultimo istante, portando lo spettatore a riflettere sul sottile velo che separa il bene dal male. Dopo il calar del sipario, rimane un interrogativo persistente: quanto conosciamo davvero di noi stessi? E cosa accadrebbe se togliessimo le briglie alle nostre pulsioni più oscure?

In scena al Teatro Quirino di Roma, Il Caso Jekyll non è solo un omaggio a Stevenson, ma una profonda meditazione sulla condizione umana. Ogni spettatore esce dalla sala con il peso di una nuova consapevolezza, quella di un mondo in cui il confine tra uomo e mostro è più sottile di quanto si voglia ammettere.

@Photocredit Flavia Tartaglia

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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