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Il “Mikveh” di Ostia Antica: una scoperta senza precedenti nella diaspora ebraica

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Rinvenuto il più antico bagno rituale ebraico fuori da Israele: un unicum archeologico che testimonia la presenza viva e radicata della comunità ebraica nella Roma imperiale

Il mikveh, nella tradizione giudaica, è un bacino destinato al rito di purificazione, realizzato secondo prescrizioni molto precise stabilite dalla Halakhah. Non è un semplice luogo per il bagno, bensì uno spazio che consente il ristabilimento della purezza rituale attraverso l’immersione totale del corpo in acqua cosiddetta “viva”, ossia proveniente direttamente da sorgenti naturali o raccolta dalla pioggia, senza essere stata trasportata manualmente. Le norme rabbiniche codificate nella Mishnah e successivamente nel Talmud, definiscono le caratteristiche tecniche di questi impianti: capacità minima pari a quaranta seah (circa 575 litri), continuità e staticità dell’acqua, separazione da qualsiasi contaminazione esterna. Il mikveh ha un ruolo fondamentale nella vita religiosa ebraica, connesso a stati d’impurità che richiedono l’immersione per il loro superamento: il contatto con un cadavere, il ciclo mestruale, il parto, la conversione, la preparazione dei sacerdoti al servizio del Tempio. Pur nella sua semplicità costruttiva, rappresenta un elemento essenziale di ogni comunità osservante.

Nel mese di giugno 2024, durante le indagini condotte nell’ambito del progetto OPS – Ostia Post Scriptum, è emerso nel Parco Archeologico di Ostia Antica un mikveh di età romana, un rinvenimento che segna un evento senza precedenti nella storia archeologica della diaspora ebraica. Si tratta infatti del primo esemplare noto al di fuori dei territori della Giudea, Galilea e Idumea antiche, risalente alla piena età imperiale. Il bagno rituale è stato scoperto nei pressi dell’area già conosciuta per la sinagoga ostiense, rinvenuta nel 1961 e databile tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., considerata fino ad oggi la più antica sinagoga del Mediterraneo occidentale. L’importanza della scoperta si radica nella sua unicità e nelle potenzialità di studio che apre per la comprensione della consistenza demografica, sociale e religiosa della comunità ebraica di Ostia.

Il mikveh ostiense si presenta strutturalmente conforme ai dettami halakhici: una vasca di immersione realizzata in cocciopesto idraulico, provvista di gradini per l’accesso, con un sistema di approvvigionamento idrico basato sulla raccolta delle acque piovane, secondo modalità che garantivano la conformità rituale. L’analisi preliminare dei livelli stratigrafici e dei materiali ceramici ha permesso di collocare la struttura in una fase compresa tra il I e il III secolo d.C., con una frequentazione che prosegue almeno fino alla tarda antichità. L’ambiente si caratterizza inoltre per un’eleganza funzionale, che ne testimonia l’inserimento in un più ampio complesso edilizio di aggregazione comunitaria, forse un centro di culto e di vita sociale della comunità ebraica ostiense.

Durante la presentazione del ritrovamento, il Ministro della Cultura Alessandro Giuli ha sottolineato la portata storica di questa scoperta, definendo Ostia Antica una Roma in miniatura, crocevia di convivenza e di scambio di culture. La presenza di un mikveh di età romana fuori dalla Terra di Israele rafforza la percezione di Ostia come un laboratorio di integrazione religiosa, in cui le comunità straniere e i culti esotici trovavano spazio e legittimità accanto alle religioni ufficiali dell’impero. La scoperta si inserisce in un quadro più ampio di studi e di iniziative volte a restituire visibilità e dignità alle testimonianze della presenza ebraica a Roma e nei suoi porti, in una prospettiva che si estende dalla tarda repubblica alla fine dell’antichità.

Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, ha espresso entusiasmo per un ritrovamento che offre una visione diversa della diaspora ebraica in età imperiale, non solo legata ai simboli della deportazione e della sconfitta – come l’arco di Tito – ma anche alla vitalità e all’organizzazione delle comunità che continuarono a praticare la propria fede e le proprie tradizioni anche lontano da Gerusalemme. Il mikveh di Ostia rappresenta un segno tangibile della capacità degli ebrei romani di mantenere la propria identità culturale e religiosa in un contesto urbano dominato dalla pluralità e dalla complessità sociale.

Il direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica, Alessandro D’Alessio, ha evidenziato il valore scientifico della scoperta. L’identificazione del mikveh conferma le indicazioni epigrafiche e archeologiche precedenti, come l’iscrizione della necropoli di Pianabella, che documenta la presenza di individui identificabili come Iudaei già alla fine del I secolo d.C. L’assenza fino ad oggi di mikva’ot di epoca romana nell’Occidente mediterraneo si spiegava sia con la scarsezza delle testimonianze materiali della vita quotidiana delle comunità ebraiche, sia con l’interpretazione corrente di una pratica religiosa che in diaspora avrebbe conosciuto forme meno rigorose. La scoperta ostiense contraddice questa visione e impone una revisione delle nostre conoscenze sulla diaspora ebraica d’Occidente.

Alfonsina Russo, Capo Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale, ha ribadito l’impegno del Ministero nel rendere fruibile al pubblico il mikveh, inserendolo in un percorso di visita che comprenda la sinagoga e gli altri monumenti dell’area, in un circuito dedicato al turismo culturale ebraico, che rappresenta oggi un settore di crescente interesse internazionale.

Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha ricordato il significato simbolico di questa scoperta per gli ebrei romani: il mikveh di Ostia testimonia una presenza viva e radicata, che ha saputo difendere e trasmettere nei secoli la propria identità. È un segno del cordone ombelicale che unisce Roma alla Terra di Israele, un legame che trova nella continuità delle pratiche religiose e nella conservazione delle tradizioni la sua forza.

Dal punto di vista metodologico, gli scavi hanno seguito un approccio stratigrafico rigoroso, con una documentazione accurata degli strati e dei materiali rinvenuti, e una particolare attenzione alla conservazione dei contesti. Le indagini proseguiranno nei prossimi mesi, con l’obiettivo di chiarire l’articolazione funzionale del complesso e di verificare l’eventuale presenza di altri ambienti connessi all’attività religiosa e comunitaria ebraica.

La scoperta del mikveh di Ostia Antica costituisce un passaggio fondamentale nel percorso di conoscenza e valorizzazione del patrimonio archeologico della Roma ebraica. Essa restituisce voce e visibilità a una comunità che, pur costretta a vivere spesso ai margini della società ufficiale, ha contribuito in maniera sostanziale alla costruzione della civiltà urbana romana. Ostia, ancora una volta, si rivela luogo di incontro e di sintesi tra le culture del Mediterraneo antico, e il mikveh, silenzioso eppure eloquente testimone di fede e identità, ci invita a ripensare i confini della storia e della memoria.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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