Un’analisi filosofica e poetica della messinscena di Claudio Puglisi, al Nuovo Teatro Ateneo di Roma.
Roma, 10 Ottobre 2024
“Il teatro è un processo vivo, in cui la creazione non si arresta mai, ma si rinnova costantemente attraverso il dialogo tra attore, testo e pubblico”. Queste parole di Claudio Puglisi rappresentano la perfetta sintesi della rappresentazione “La Tempesta Continua”, messa in scena al Nuovo Teatro Ateneo di Roma. Diretto con maestria da Puglisi e ispirato al romanzo onirico di Peter Handke, “Immer Noch Sturm”, lo spettacolo si è imposto come una delle espressioni più raffinate e intense del teatro contemporaneo.
L’opera originale di Handke è una profonda meditazione poetica e storica sulle radici culturali dell’autore, intrecciando narrazione autobiografica e ricostruzione mitica delle sue origini slovene in Carinzia. Il protagonista intraprende un viaggio onirico alla ricerca di un dialogo con i propri avi, portatori di una memoria dispersa nella violenza della Seconda Guerra Mondiale e nella cancellazione di un’identità comunitaria. Questo delicato equilibrio tra il ricordo e il rischio di perdersi in un passato sfuggente è stato rappresentato con grande sensibilità dalla regia di Puglisi, che ha saputo restituire la dimensione caleidoscopica e frammentata del romanzo.
Attraverso l’uso dell’improvvisazione, Puglisi ha creato un palcoscenico fluido, un luogo in cui passato e presente si sono sovrapposti in una sinfonia di emozioni e significati sempre nuovi. Ogni rappresentazione ha assunto forme inedite, come un palinsesto su cui scrivere e riscrivere le emozioni del momento. L’improvvisazione è diventata così il veicolo principale per attraversare le profondità dell’opera di Handke, trasformando ogni gesto e ogni parola in un’esperienza sensoriale e fisica che coinvolgeva sia gli attori che il pubblico.
Il lavoro di Claudio Puglisi si è nutrito degli insegnamenti di Paolo Giuranna e Marialucia Carones, maestri che hanno trasmesso agli attori la poetica del linguaggio e la forza dell’unione tra gesto e parola. Questa visione si è intrecciata con il pentathlon antico, contribuendo a creare un’armonia profonda tra movimento e voce, tra corpo e spirito. In questo contesto, l’improvvisazione ha assunto una funzione spirituale, evocando le teorie di Rudolf Steiner sulla natura vivente dell’arte teatrale. Il teatro è divenuto uno spazio sacro, in cui attore e spettatore partecipavano a un processo di risveglio interiore, sospinti da una forza invisibile.
Le luci, curate da Alessandro Teodori, hanno giocato un ruolo fondamentale nel creare l’atmosfera di questo spazio onirico e rituale. L’uso sapiente di luci soffuse e tagli di luce netti ha contribuito a delineare i confini sfumati tra il mondo del ricordo e quello del sogno, trasformando il palcoscenico in una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione. Le ombre proiettate sul fondale evocavano la presenza degli avi, figure che emergevano e svanivano come fantasmi della memoria, mentre i cambi di intensità luminosa accompagnavano i momenti di maggiore tensione emotiva, amplificando il pathos delle scene.
Le scenografie, realizzate da Valeria Almerighi, erano essenziali e simboliche, costituite da pochi elementi evocativi capaci di trasformarsi e adattarsi ai bisogni della narrazione. Un albero spoglio al centro del palco rappresentava le radici perdute e la ricerca dell’identità, mentre tessuti trasparenti creavano giochi di veli che suggerivano la natura effimera e sfuggente del ricordo. La scenografia non era un semplice sfondo, ma un elemento vivo e dinamico, che interagiva con gli attori e contribuiva a creare quella sensazione di spazio fluido e in continua trasformazione.
Il mito di Orfeo ha giocato un ruolo fondamentale nella narrazione scenica. Handke ha reinterpretato questa figura archetipica, invertendone il significato: non è chi si volta indietro a perdere qualcosa, ma è proprio il passato a svanire per chi cerca di riavvicinarsi ad esso. Puglisi ha saputo tradurre questa sottigliezza mitologica in una tensione costante tra memoria e oblio, tra la necessità di preservare il ricordo e la consapevolezza del suo progressivo dissolversi.
La conclusione dello spettacolo è stata un climax emotivo che ha lasciato il pubblico scosso e profondamente toccato. Non si è trattato solo di assistere a una rappresentazione teatrale, ma di vivere un atto di riflessione collettiva, un’esperienza di scoperta e consapevolezza condivisa. Il pubblico ha accolto con grande apprezzamento l’intensità della messinscena, contribuendo alla creazione di un dialogo profondo tra palco e platea, in cui ogni persona è diventata co-creatrice di una verità in continuo divenire.
Come ha concluso Puglisi: “Il teatro è uno spazio di rivelazione e trasformazione, un luogo in cui passato, presente e futuro si incontrano per creare una verità nuova, mai definitiva, ma sempre in divenire”.