Un viaggio attraverso il movimento, la casualità e il gioco per interrogare la condizione umana contemporanea.
Francesca Pennini e il CollettivO CineticO tornano sulla scena del Romaeuropa Festival con una rivisitazione del loro celebre spettacolo <age>, presentato per la prima volta nel 2012. Con una regia e coreografia che fondono gioco e riflessione, questa nuova versione del 2024 affronta i mutamenti profondi e le incertezze che caratterizzano l’esperienza dei giovani in un’epoca segnata da catastrofi naturali, pandemie e guerre, cercando di catturare l’essenza complessa dell’essere umano contemporaneo. Al centro della performance emerge una ricerca su come questo “materiale umano” sia cambiato nell’arco di dieci anni, trasformando il palco in un laboratorio vivo, una riflessione esistenziale che interroga il rapporto tra individuo e società.
Le coreografie proposte da Pennini si allontanano consapevolmente dalle forme tradizionali per abbracciare una dimensione di spontaneità e aleatorietà, ispirata alla lezione di John Cage e all’idea di indeterminatezza. I nove interpreti, rappresentazioni di un’umanità in continuo divenire, si muovono sulla scena alternando gesti quotidiani a esplosioni coreografiche volutamente esasperate, in cui la caricatura dei movimenti umani diviene una chiave di lettura che permette di affrontare temi profondi con leggerezza e ironia. La narrazione scenica, frammentata e apparentemente episodica, viene esaltata dalla molteplicità di gesti che, nella loro esagerazione, richiamano una tensione tra la singolarità del performer e la dinamica collettiva. Il pubblico, chiamato a partecipare in modo attivo, si ritrova in una posizione di osservatore consapevole, sollecitato non tanto a seguire una trama lineare quanto a interrogarsi insieme agli interpreti sulle questioni esistenziali poste in scena.
L’accompagnamento musicale segue un percorso altrettanto imprevedibile e libero, omaggiando esplicitamente l’approccio di Cage. Il suono, qui non continuo ma centellinato con attenzione, interviene a segnare i momenti chiave della performance, come il colpo di gong che dà il via a una serie di domande proiettate su un display. In questo modo, la musica assume il ruolo di elemento coreografico a sua volta, contribuendo a costruire quel senso di sospensione e di attesa che caratterizza l’intera opera. Il silenzio diventa altrettanto significativo del suono, e l’interazione tra le improvvisazioni sonore e i movimenti dei performer riflette una ricerca continua di equilibrio tra il previsto e l’imprevisto, tra il certo e l’indeterminato.
<age> nasce nel 2012 come riflessione sull’eredità di John Cage, in occasione del centenario della sua nascita. In quella prima versione, Pennini, con la sua cifra inconfondibile di contaminazione tra arte e vita, aveva messo in scena un gruppo di adolescenti tra i 14 e i 18 anni, che reagivano a situazioni di vita quotidiana con una combinazione di ingenuità e profondità. Lo spettacolo, sin dal suo debutto, aveva suscitato un grande interesse, posizionandosi come uno dei lavori più rappresentativi della coreografa ferrarese, capace di trattare con leggerezza temi complessi, attraverso un linguaggio corporeo ricco di significati. Oggi, a distanza di oltre un decennio, la sfida è quella di riprendere quel discorso, adattandolo al contesto di un presente sempre più instabile e imprevedibile, mantenendo però intatto lo spirito giocoso e interrogativo dell’originale. I nuovi interpreti affrontano le stesse domande esistenziali con uno sguardo che riflette le sfide odierne, rendendo l’opera ancora più attuale.
Pennini, in collaborazione con Angelo Pedroni per la drammaturgia, riesce a rinnovare e arricchire il significato di <age>, enfatizzando il valore del gioco e dell’ironia come strumenti di crescita e consapevolezza personale. Gli interpreti di questa nuova versione ci invitano a osservare il mondo con uno sguardo distaccato, a non prendersi troppo sul serio, e a partecipare alla realtà senza esserne mai completamente sopraffatti, in attesa di un autentico momento di rivelazione.
L’applauso finale, dunque, non è solo il segno di un’ovazione per la performance, ma un riflesso di un dialogo aperto tra scena e platea, tra corpo e pensiero, che lascia intravedere una gioia ancora da raggiungere, ma sempre possibile.