Il Vaticano all’Expo giapponese affida all’arte di Caravaggio il compito di raccontare la bellezza come ultimo antidoto al disincanto del mondo.
In una stagione che vede il mondo rincorrere sé stesso, distratto dalla vertigine dei conflitti e dalle idolatrie tecnologiche, la Santa Sede compie un gesto tanto semplice quanto eloquente: spedire a Osaka, in Giappone, una delle sue opere più preziose. Non un’enciclica, non un sermone, non un trattato teologico. Ma La Deposizione di Caravaggio. E chi conosce i codici della diplomazia pontificia sa quanto essa sappia essere più incisiva quando tace e mostra, piuttosto che quando parla.
Dal 13 aprile al 13 ottobre 2025, in occasione dell’Expo giapponese, il capolavoro seicentesco sarà l’anima visibile del Padiglione della Santa Sede, ospitato all’interno del Padiglione Italia. È la prima volta che quest’opera, custodita nei Musei Vaticani, lascia il suo spazio romano per varcare i confini d’Oriente. L’operazione, promossa direttamente da Papa Francesco, è tutto fuorché banale. Non si tratta di una mera esposizione artistica, ma di un’affermazione ideologica nel senso più nobile del termine: la bellezza, quella vera, può e deve farsi veicolo di speranza.
Il titolo del Padiglione è già un programma: “La Bellezza porta Speranza”. In un mondo che s’affanna a sminuzzare le certezze, il Papa riafferma che la salvezza non abita tra i microchip ma nel sublime, nella potenza del gesto artistico che sa dire l’indicibile. Caravaggio, con quella tavolozza di luce e sangue, non dipinge un Cristo morto: dipinge un’umanità in bilico, che si fa corpo e peso, carne e pietra. Una spiritualità non evanescente, ma terrena, gravosa, appesa al lembo di un sudario.
Il quadro — commissionato in origine per la cappella Vittrice di Santa Maria in Vallicella — è quanto di più eloquente si possa scegliere per raccontare il cuore di un Giubileo. Morte e risurrezione non sono qui concetti, ma materia pittorica, sudore, spasmo. Ed è proprio questo che il Vaticano porta in Giappone: non un messaggio edulcorato, ma un’esperienza del tragico da cui fiorisce, per paradosso, la speranza.
A facilitare questa operazione di alta diplomazia culturale è stata la collaborazione con il Governo italiano e in particolare con il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha accolto con entusiasmo l’idea di accogliere la Santa Sede all’interno della struttura nazionale. In tempi di geopolitica fluida, dove le alleanze si ridefiniscono anche attraverso il linguaggio delle mostre, si capisce bene quanto questo gesto sia anche un atto politico, e non soltanto spirituale.
Non mancheranno eventi collaterali, conferenze e presenze artistiche italiane che, durante l’Expo, amplificheranno il messaggio della Santa Sede. A fare da tramite con il pubblico giapponese e internazionale sarà anche una mascotte, Luce, una piccola pellegrina in stile manga. Può sembrare una concessione al marketing, ma in realtà è una trovata di straordinaria efficacia comunicativa. In un contesto affollato di simboli digitali e feticci pop, anche una creatura da fumetto può farsi testimone della tenerezza evangelica.
Chi vorrà, dunque, potrà sostare davanti alla Deposizione come davanti a un altare laico. E lì, forse, comprendere che non c’è nulla di più rivoluzionario, oggi, del fermarsi. Guardare. Sentire. E lasciarsi ferire da un brivido di bellezza. Così parla Caravaggio, senza bisogno di intermediari: con la luce. E con l’ombra. Con una pittura che è già, essa sola, resurrezione.