Nella trama sottile che intreccia il genio caravaggesco alle vicende della famiglia Barberini, la presenza del Ritratto di monsignor Maffeo Barberini si staglia con la forza di una rivelazione. L’opera, prestito eccezionale di una collezione privata, sarà esposta al pubblico per la prima volta dal 23 novembre 2024 al 23 febbraio 2025 nelle sale di Palazzo Barberini, luogo che porta ancora impresse le tracce della grandezza culturale e politica del casato. Quella che si manifesta agli occhi dello spettatore è un’immagine di straordinaria potenza narrativa, capace di riassumere in un gesto e in uno sguardo la complessità di un’intera epoca.
Il giovane Maffeo Barberini, ritratto nei suoi trent’anni, siede su una poltrona inclinata con un atteggiamento che racchiude in sé tensione e calma, come se il dinamismo che permea la composizione trovasse il suo equilibrio precario nell’istante congelato dall’arte. La luce, elemento essenziale nella poetica del Caravaggio, si fa qui strumento di rivelazione: un fascio obliquo, proveniente dal basso, illumina il volto, le mani, i dettagli del talare verde che contrasta con la veste bianca plissettata, creando un gioco di superfici e profondità che esalta ogni piega, ogni linea. La potenza plastica della figura emerge dal fondo spoglio con una tale immediatezza che sembra quasi sfidare il limite della tela. La mano destra, colta in un gesto imperioso, attraversa lo spazio con un movimento che pare non fermarsi al confine pittorico, ma proseguire idealmente verso l’osservatore, chiamandolo a partecipare all’azione.
Gli occhi, che concentrano la luce in un punto di massima intensità, e la bocca appena schiusa, catturano un momento che trascende la rappresentazione puramente statica per divenire racconto. È come se il dipinto suggerisse, senza bisogno di parole, una scena più ampia, un contesto che si allarga oltre i margini della composizione: un ordine appena impartito, un interlocutore invisibile, un’azione che sta per compiersi. Caravaggio, nella sua capacità ineguagliata di cogliere il dinamismo dell’animo umano, ci restituisce qui non solo l’immagine di un uomo, ma l’essenza di una personalità vigorosa, brillante e ambiziosa, proiettata verso un futuro che lo vedrà ascendere al soglio pontificio come Urbano VIII.
La storia critica di questa straordinaria opera è segnata da una serie di riscoperte e attribuzioni che, a partire dal 1963, l’hanno portata al centro del dibattito sulla ritrattistica caravaggesca. Fu Roberto Longhi, in un articolo apparso sulla rivista Paragone, a riconoscerne per primo l’autografia, collocandola come tassello fondamentale nella produzione romana del Merisi, laddove i ritratti, per loro natura fragili e destinati a dispersioni, costituiscono un corpus lacunoso e difficile da ricostruire. La corrispondenza successivamente pubblicata tra Longhi e Giuliano Briganti ha rivelato, però, una storia più complessa, in cui il merito della scoperta e della prima attribuzione spetterebbe proprio a Briganti, il quale avrebbe ceduto a Longhi il diritto di pubblicazione, pur mantenendo un ruolo centrale nelle indagini sull’opera. La figura di Maffeo Barberini emerge così non solo dalla maestria pittorica del Caravaggio, ma anche attraverso il filtro di un dibattito critico animato da grandi personalità del mondo dell’arte.
Restaurata da Alfredo De Sanctis, l’opera ha visto il consenso unanime della critica, da Federico Zeri a Mia Cinotti, passando per studiosi come Terzaghi, Vodret e Christiansen, fino alle più recenti conferme. La sua qualità pittorica, unita alla forza narrativa e alla straordinaria capacità di sintesi psicologica, ne ha fatto un unicum nella produzione del Merisi, tanto più prezioso in quanto rivelatore di un aspetto poco noto della sua carriera. Il percorso che ha portato il ritratto dalle collezioni Barberini alla proprietà privata attuale è segnato dalle dispersioni che hanno interessato il patrimonio del casato nei primi decenni del Novecento, ma ciò non ha impedito all’opera di mantenere intatta la sua aura.
Ora, grazie a un accordo che testimonia la sensibilità culturale delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, questa gemma della ritrattistica barocca torna a splendere nello stesso palazzo che fu simbolo del potere e del gusto raffinato della famiglia Barberini. La presenza del dipinto in questo luogo assume così un significato che va oltre il semplice evento espositivo, diventando una sorta di ritorno alle origini, una riappropriazione simbolica che restituisce al pubblico un frammento di storia tanto affascinante quanto complesso. Le parole di Thomas Clement Salomon, direttore delle Gallerie Nazionali, esprimono l’emozione di un’impresa che sembra sfidare l’impossibile: “È il Caravaggio che tutti volevano vedere, ma sembrava irraggiungibile. Ora è qui, e con lui un pezzo fondamentale del Barocco romano.”
Questa esposizione, oltre a offrire un’opportunità unica per ammirare l’opera, si presenta come un’occasione per riflettere sulla capacità dell’arte di attraversare il tempo e lo spazio, mantenendo intatta la sua potenza evocativa. Il Ritratto di Maffeo Barberini non è soltanto un’immagine, ma una finestra aperta su un’epoca e su un uomo che, nella sua fisicità e nella sua mente, incarna il fulcro di un periodo in cui la luce e l’ombra erano non solo elementi pittorici, ma metafore di un mondo in continuo mutamento.