Annalaura di Luggo intreccia simbolismo e tecnologia in un percorso interattivo che decifra il linguaggio universale della luce come rivelazione del sé e del mondo.
L’installazione multimediale Oculus-Spei, concepita da Annalaura di Luggo e ospitata nel Pantheon di Roma, si presenta come un’operazione artistica che scardina la staticità della tradizione per reinventare lo spazio simbolico con un gesto dirompente. Qui l’arte si fa non solo visione, ma esperienza totale, dove la luce, carica di valori ancestrali e teologici, diventa l’epicentro di un discorso estetico che interroga il pubblico. È un atto performativo che trasforma il luogo sacro in un laboratorio di significati, attivando un dialogo che vibra tra passato e presente.
La di Luggo sceglie di giocare con l’oculus del Pantheon, un foro che nella sua essenzialità architettonica si erge a simbolo del divino e del trascendente. Ma qui l’oculus non è più solo un’apertura verso l’alto: diventa un riflettore che illumina cinque Porte Sante, varchi che, lungi dall’essere semplici oggetti fisici, diventano totem carichi di potenza rituale. L’atto di bussare a queste porte – un gesto fisico, primitivo, ma carico di intenzione – si trasforma in un rituale contemporaneo che sovverte la passività dello spettatore.
L’artista costruisce un’opera che si muove sul crinale tra spiritualità e laicità, in cui la figura guida è affidata alle persone con disabilità. Questi interpreti non sono simboli consolatori, ma presenze potenti che ribaltano le convenzioni del ruolo spettatoriale. Sono loro, questi “novelli ciceroni”, a traghettare il pubblico verso una dimensione altra, dove la luce trasfigura e rende possibile un’esplorazione del sé. L’opera, quindi, non propone risposte, ma crea domande. E ogni porta varcata è una soglia verso l’ignoto.
La narrazione si articola in cinque stazioni, ognuna connotata da una dimensione universale. Le prime quattro porte si ispirano alle vele del logo del Giubileo 2025, icone della globalità che richiamano l’espansione verso i quattro angoli del mondo. Ma è la quinta porta, simbolicamente collocata presso il Carcere di Rebibbia, a segnare un punto di rottura. Qui l’installazione sfrutta un sistema tecnologico di gesture recognition che mette il visitatore di fronte alla propria immagine in tempo reale, destabilizzando la percezione e aprendo un varco nel senso di identità. La di Luggo gioca con la tecnologia come un alchimista del contemporaneo, trasformando il dato tecnico in un’esperienza che chiama in causa le radici dell’umanità.
In questa dialettica tra luce e ombra, visibile e invisibile, Oculus-Spei diventa un’opera totale che si inserisce nella tradizione dell’arte come linguaggio universale. L’artista rilegge il Pantheon come un contenitore simbolico, un palinsesto sul quale traccia nuove linee di senso, creando un cortocircuito semantico tra l’iconografia cristiana, le suggestioni cosmologiche e il potenziale trasgressivo della contemporaneità. Il gesto di Annalaura di Luggo non si limita a celebrare la speranza, ma la provoca, la scardina, la rende un’esperienza concreta e tangibile.
La presenza della luce, medium privilegiato dell’intera installazione, funge da catalizzatore di significati. La luce è rito, epifania, ma anche interrogazione, una forza che non si accontenta di illuminare, ma scava, svela e, talvolta, destabilizza. È attraverso questa luce che l’opera si afferma come una narrazione aperta, un viaggio che non si esaurisce in una fruizione passiva, ma che chiama ogni visitatore a essere co-autore del significato.
Annalaura di Luggo si inserisce in un panorama artistico dove il gesto non è mai gratuito, ma sempre carico di una tensione verso l’altro. Oculus-Spei non è solo un’opera d’arte, ma un atto culturale, una sfida lanciata a chi guarda. È un invito a riconoscere nell’arte il luogo della trasformazione, il crocevia in cui identità e alterità si incontrano e si ricompongono. In questo senso, l’opera non si limita a essere vista: richiede di essere vissuta, penetrata, attraversata.
È in questa complessità che risiede la forza di Oculus-Spei: una macchina estetica capace di tenere insieme il sacro e il profano, il rituale e il quotidiano, la tradizione e la contemporaneità. Annalaura di Luggo, come un demiurgo del presente, trasforma il Pantheon in uno spazio vivo, in cui ogni gesto, ogni raggio di luce, ogni soglia attraversata diventa parte di una coreografia cosmica. Non c’è più separazione tra il divino e l’umano, tra la tecnologia e il simbolo: tutto si fonde in un’opera che non rappresenta, ma agisce.