Al Teatro Sala Umberto va in scena una parabola di desolazione lucida e cinismo corrosivo: Il Professionista – Nella mente di un sicario. Tommaso Agnese, regista e autore, costruisce una dark-comedy che si muove con agilità tra il tragico e l’assurdo, scavando nella psiche di un uomo il cui passato ha lasciato macerie.
Il protagonista, Aron, è un sicario prigioniero di una routine disumanizzante e di un isolamento emotivo che sembra scolpito nei muri del suo appartamento freddo e spoglio. Interpretato da Luigi Di Fiore con un’intensità che non lascia scampo, Aron è un uomo che ha smesso di credere alla redenzione, che pesa ogni decisione con la rassegnazione calcolata di chi è consapevole di non potersi salvare. Di Fiore restituisce un’umanità frammentaria, intrappolata in gesti misurati e in un silenzio che parla più delle parole.
L’apparente monotonia della vita di Aron viene sconvolta dall’arrivo di Juliet, una cantante il cui fascino fragile e luminoso sembra provenire da un mondo distante. Claudia Vismara dona al personaggio una delicatezza magnetica, costruendo un’interpretazione che lascia intravedere sia la vulnerabilità che la forza nascosta. La relazione tra Aron e Juliet non è una storia d’amore nel senso tradizionale, ma un confronto tra due anime che cercano disperatamente di toccarsi, pur sapendo che il loro incontro è destinato a restare incompleto. I dialoghi, ridotti all’essenziale, rivelano più nei silenzi che nelle parole.
La narrazione si complica con l’introduzione di un elemento destabilizzante: l’alter ego di Aron, interpretato con inquietante incisività da Edoardo Purgatori. Questo doppio è molto più di un personaggio: è una presenza che incarna il conflitto interno del protagonista, una voce che sussurra, incalza, giudica. Le scene che li vedono insieme sono duelli verbali carichi di tensione, dove ogni parola sembra scavare una ferita più profonda.
L’opera si snoda in un crescendo di tensione, culminando in una caduta inevitabile. Juliet scompare, lasciando Aron solo con la sua disperazione. La sua ricaduta nel ruolo di sicario è raccontata con una crudeltà che non cerca redenzione, ma che riflette l’impossibilità di cambiare. Quando Juliet riappare, non è come salvatrice, ma come catalizzatrice di un epilogo che segna il punto di non ritorno.
Le scenografie minimaliste e le luci fredde di scena amplificano il senso di oppressione. L’appartamento di Aron, con le sue linee severe, diventa uno specchio della sua mente: uno spazio dove nulla è superfluo e ogni angolo parla di solitudine. La regia di Agnese utilizza ogni elemento visivo e sonoro per costruire un mondo che è tanto reale quanto metaforico.
Il resto del cast – Paolo Perinelli, Gabriel Zama, Paolo Maras e Antonino Iuorio – offre interpretazioni che aggiungono profondità senza mai rubare la scena. Le musiche originali di Stefan Larsen oscillano tra noir e accenni di malinconia retrò, sottolineando le emozioni con una precisione che eleva l’intera esperienza.
Il Professionista – Nella mente di un sicario non è un’opera consolatoria. È un’indagine spietata nell’oscurità dell’animo umano, che sfida lo spettatore a confrontarsi con le proprie ombre. Tommaso Agnese riesce nell’impresa di trasformare una figura stereotipata in un personaggio universale, un uomo intrappolato tra ciò che desidera e ciò che non potrà mai avere. Quando le luci si spengono, rimane il peso delle domande sollevate, domande che ci portiamo dentro e che continuano a riecheggiare, senza risposte.