Immaginate di trovarvi al Teatro Ambra Jovinelli per assistere a uno spettacolo che promette di farvi ridere, riflettere e forse anche un po’ pentire delle vostre scelte di vita. “Migliore”, scritto e diretto dal geniale Mattia Torre, non è solo un monologo: è una seduta di autocoscienza travestita da serata a teatro, con un irresistibile Valerio Mastandrea a fare da psicologo improvvisato.
La premessa è semplice: “Essere il migliore non sempre significa essere il più buono“. Un pensiero profondo, certo, ma anche un promemoria che forse ci siamo tutti scordati di appuntare sul frigo tra la lista della spesa e le bollette non pagate. Alfredo Beaumont, il protagonista, è il perfetto ritratto dell’uomo medio: impiegato in un call center di lusso (sì, esistono), passa le giornate a coccolare clienti che probabilmente non sanno nemmeno accendere la lavatrice. Poi, succede l’imprevisto – perché c’è sempre un imprevisto – e Alfredo si trasforma. Non parliamo di una metamorfosi da supereroe Marvel, ma di un risveglio interiore che lo rende, beh, meno sopportabile.
Mattia Torre – già penna tagliente di Boris e altri gioielli della satira italiana – ci regala qui un protagonista che è un misto di Achille prima della guerra e il vicino di casa che ti ruba il parcheggio sotto casa. Alfredo diventa più assertivo, più diretto, più tutto… tranne che simpatico. Ma è davvero migliore? Oppure ha solo scoperto che la vita è più semplice se smetti di preoccuparti degli altri?
Mastandrea, dal canto suo, ci trascina in questa parabola tragicomica con la sua voce ruvida e quella faccia da “ho visto cose che voi umani…”. Riesce a tenere il palco da solo con una presenza così magnetica che persino i silenzi sembrano pieni di significato. E no, non è perché il pubblico sta controllando il cellulare – anche se qualcuno in ultima fila potrebbe essersi perso nei commenti di TikTok.
Il palco è essenziale, quasi spoglio, ma chi ha bisogno di scenografie elaborate quando hai Mastandrea che ti guarda come se stesse leggendo la tua anima? Un gioco di luci minimalista fa il resto, lasciando che siano le parole (e le pause cariche di tensione) a fare il lavoro sporco.
E poi c’è il pubblico, che ride, applaude e probabilmente si riconosce un po’ troppo nei dilemmi morali di Alfredo. Perché, diciamocelo, chi non ha mai sognato di mandare a quel paese tutti e tutto per sentirsi “migliore”? Ma Torre non ci lascia scappatoie. La trasformazione del protagonista è un lento scivolare verso una solitudine che fa più paura del call center stesso.
Alla fine dello spettacolo, mentre si esce nel freddo pungente della notte romana, ci si chiede: vale davvero la pena essere i migliori se poi si finisce soli? Forse la risposta non la troveremo mai, ma una cosa è certa: Mastandrea ce l’ha fatta sudare, e Torre ci ha messo davanti a uno specchio così spietato che ci vien quasi voglia di tornare a essere mediocri.
“Migliore” non consola, ma fa ridere, riflettere e – perché no – rivalutare la nostra umanità. O almeno ci prova. @Photocredit Arianna Fraccon