Recensione “Aspettando Re Lear”
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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Aspettando Re Lear”. La nostra recensione

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“As flies to wanton boys are we to the gods; they kill us for their sport.” William Shakespeare, Re Lear

Con questa citazione tratta da Re Lear di William Shakespeare, ci immergiamo nella rilettura contemporanea della tragedia shakespeariana proposta da Alessandro Preziosi e Michelangelo Pistoletto. Aspettando Re Lear non è semplicemente una messa in scena della celebre opera del Bardo, ma una profonda riflessione sul caos, sulla caducità del potere e sulla fragilità dell’essere umano. Preziosi, nel doppio ruolo di regista e attore, e Pistoletto, con la sua poetica visiva, instaurano un dialogo tra il testo classico e la contemporaneità, trascinando il pubblico in un viaggio che esplora l’animo umano e le sue contraddizioni.

Aspettando Re Lear è un adattamento da Shakespeare con un evidente richiamo a Aspettando Godot di Samuel Beckett, uno spettacolo sul difficile rapporto tra padri e figli, sulla relazione tra uomo e natura e sulla perdita e il ritrovamento dei valori. Nello spettacolo si parla di follia, di potere che distrugge, di solitudine e di caos interiore ed esteriore, definito da Michelangelo Pistoletto come “l’unico ordine possibile”. In scena sono presenti le opere e i costumi iconici del maestro, realizzati dal collettivo Fashion B.E.S.T. con materiali sostenibili. Anche le musiche, composte da Giacomo Vezzani, traggono ispirazione dalle opere dell’artista.

Parlando di questa commistione multidisciplinare tra arte contemporanea e teatro, Alessandro Preziosi, in veste di regista, ha commentato: “A teatro ho condiviso la messa in scena dei presupposti del Terzo Paradiso, la terza fase dell’umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la Natura. L’uomo deve cercare di non essere debitore alla Natura di ciò che indossa: il senso dell’abito, del superfluo, dello stretto necessario sono tematiche di Michelangelo Pistoletto che porto a teatro. L’uomo nella sua nudità trova sé stesso, e così anche noi attori durante lo spettacolo veniamo privati dei vestiti, per farci vedere per quello che siamo”.

La straordinaria sinergia tra Alessandro Preziosi e Michelangelo Pistoletto ha decretato il successo, per molti versi preannunciato, di Aspettando Re Lear. Lo spettacolo si distingue per il suo livello qualitativo eccelso, curato nei minimi dettagli: dalla regia alla scenografia, dalla drammaturgia alla recitazione. Tutti gli elementi scenici interagiscono in modo complementare, creando una rara armonia. Per una volta, l’idea descritta nelle note di sala ha trovato piena realizzazione, mantenendo le aspettative più alte.

L’adattamento della tragedia shakespeariana operato da Tommaso Mattei si concentra sul momento chiave della narrazione shakespeariana, rappresentato dalla tempesta che colpisce Lear mentre vaga, abbandonato, nella desolata landa. Lear, accompagnato dal conte di Kent sotto le mentite spoglie del servo Caio e dal fedele Fool – interpretato con arguzia da Cordelia, amorevolmente impegnata a farlo rinsavire – assiste inerme allo sconvolgimento dell’ordine naturale fino all’inaspettato finale. Re Lear diventa così una metafora della condizione umana, della caduta e della creazione. Lear ama solo sé stesso, la mancanza d’amore lo conduce alla follia e alla solitudine; vaga in una landa di nulla con cui il sovrano senza più corona deve fare i conti. È come se Re Lear prevedesse l’inevitabile nulla che ci attende come risultato dell’ordine permanente fatiscente, proprio come Aspettando Godot rivela cosa accade “dopo che il vecchio cade”. A pagare le conseguenze della “cecità” dei padri sono inevitabilmente i figli.

Gli elementi scenici creati da Michelangelo Pistoletto assumono il ruolo di veri co-protagonisti. Un arco di mattoni che incornicia uno specchio, evocando le celebri opere “specchianti” dell’artista; una struttura quadrata che abbraccia due sedute chiamate “Quadro da pranzo”; una porta a forma di clessidra – simbolo del tempo che scorre inesorabile – e altri oggetti trasportano il pubblico in un universo concettuale e simbolico. Il pavimento, decorato con il simbolo dell’infinito, richiama il “Terzo Paradiso” di Pistoletto, configurandosi come una metafora della condizione umana e del tentativo di trovare un equilibrio tra natura e artificio.

Le opere di Pistoletto, parola cardine della filosofia pistolettiana, trovano il loro apice in scena, insieme agli attori, come materiali per raccontare il rapporto tra padri e figli, la relazione tra tradizione e innovazione, tra uomo e natura. Michelangelo Pistoletto, nato a Biella nel 1933, è un precursore dell’Arte Povera e uno dei più importanti artisti contemporanei. I suoi Quadri specchianti e la Venere degli stracci hanno reso iconiche le sue riflessioni sull’arte e sulla società, culminate nella fondazione di Cittadellarte, un centro che mira a un cambiamento responsabile della società attraverso l’arte. Negli anni, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003.

Preziosi ha interpretato Lear con maestria straordinaria, passando dall’arroganza del potere alla vulnerabilità dell’uomo che riscopre l’amore e l’umiltà. La follia, intesa come passaggio necessario per ritrovare il senno, è stata rappresentata con rara intensità, guidando il protagonista verso una nuova consapevolezza. Non meno importanti sono stati gli altri attori del cast, che hanno saputo accompagnare Preziosi in questo viaggio intenso e complesso. Arianna Primavera ha brillato nel ruolo di Cordelia, interpretando con sensibilità e forza la figura della figlia leale e amorevole, mentre Valerio Ameli ha dato vita a Edgar, portando sul palco una rappresentazione intensa e toccante, interpretando con sensibilità e ironia la figura del matto che, con le sue battute taglienti e la sua presenza sfuggente, rivela le verità più profonde. Nando Paone nel ruolo di Gloucester e Roberto Manzi in quello di Kent, hanno portato sulla scena una grande energia e una profonda umanità, contribuendo a rendere vivi i momenti di maggiore pathos.

I costumi di scena, realizzati dal collettivo Fashion B.E.S.T., incarnano tre principi d’ispirazione: modularità, unicità e caratterizzazione. Studiati come pezzi unici e iconici, raccontano ogni personaggio seguendone l’evoluzione durante lo spettacolo, permettendo una trasformazione e una vestizione scenica che si concretizza nella visione e nella gestualità del racconto shakespeariano. Il materiale scelto è il denim, resistente e contemporaneo, facilmente riciclabile al termine del ciclo di vita. I personaggi che nello spettacolo si svestono per esprimere uno stato di nudità vengono coperti con un completo nero in mussola di cotone, simbolo dell’assenza del colore e del ritorno all’essenza primigenia.

Un ruolo fondamentale nello spettacolo è stato giocato dal disegno luci, curato magistralmente da Pasquale Mari. Le luci hanno contribuito a creare atmosfere cangianti, enfatizzando i momenti di tensione e quelli di introspezione. I contrasti di luce e ombra hanno evidenziato la dualità dell’animo umano, mentre i toni soffusi hanno saputo rendere palpabile la fragilità dei personaggi. L’uso sapiente delle luci ha amplificato il simbolismo degli oggetti scenici, come lo specchio e la porta a clessidra, accentuandone il significato e la centralità nella narrazione.

La regia di Preziosi ha saputo mantenere alta la tensione drammatica senza mai cedere, dimostrando una maturità artistica evidente tanto nelle scelte registiche quanto nella propria performance attoriale. Il concetto di “caso”, caro a Pistoletto, è stato tradotto in chiave shakespeariana, dando vita a una narrazione in cui gli oggetti scenici e i personaggi si riflettono reciprocamente in un “caos ordinato”. Le figure simboliche – il Re, il Figlio, il Servo, il Pazzo – fungono da chiavi di lettura per accedere all’universo shakespeariano, guidando Lear nella sua ricerca interiore.

L’idea del “caso” diviene il filo conduttore dello spettacolo, in cui lo specchio, inserito nell’arco di mattoni, riflette a ciascun personaggio la propria essenza, una realtà apparentemente distante ma intimamente coincidente. La rappresentazione intreccia il genio del Bardo con l’attesa esistenziale di Beckett, evocando la solitudine e l’incertezza dell’esistenza umana, ma anche la speranza che si cela nell’amore e nei legami familiari. In questo contesto, la follia di Lear diviene un passaggio indispensabile per abbandonare il potere e ritrovare se stesso, accettando la caducità e la fragilità dell’essere umano.

In questa rilettura di Re Lear, tutto ciò che rimane, dopo l’incredibile pantomima carnevalesca appena accennata, è la terra vuota e sanguinante. Su questa terra apocalittica, il Re Alessandro Preziosi, il Matto, il Servo, l’Amico e l’Intruso continuano all’infinito il loro dialogo distratto. Proprio come i protagonisti di Aspettando Godot di Beckett, i personaggi di Aspettando Re Lear sembrano ereditare e abitare il vuoto che rimane dopo che la tragedia ha fatto il suo corso. Lo spettacolo si concentra sul momento chiave della narrazione shakespeariana, rappresentato dalla tempesta che colpisce Lear proprio mentre vaga nella landa desolata per allontanarsi dal disastro provocato con le figlie. Lear è l’incarnazione del patriarca, del monarca e della gloria ormai perduta dell’antico continente. La sua morte segna la caducità dei sistemi di potere, di cui i nostri personaggi ora abitano le rovine, come sprofondati nel nulla.

Aspettando Re Lear riesce a sublimare il simbolo dell’infinito tracciato sul palcoscenico, rappresentando la ricerca di un ordine nel caos e chiudendo il cerchio narrativo in modo coerente e coinvolgente. La mise en scène, arricchita dalle opere di Pistoletto, fonde arte visiva e teatro, dando vita a un’esperienza immersiva e potente, capace di suscitare nello spettatore riflessioni profonde sulla condizione umana, sul senso del potere, dell’amore e dell’attesa.

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Scritto da
Davide Oliviero -

Laureato in discipline umanistiche presso l'Università di Bologna sotto la guida del Professor Umberto Eco, ha avviato la sua carriera nell'archeologia classica, concentrandosi sulla drammaturgia greco-romana. Il suo interesse per il design lo ha spinto a seguire un corso triennale in design d’interni, continuando nel contempo a lavorare nel campo archeologico. Col tempo, ha sviluppato una passione per la scrittura e la musica classica, che lo ha portato a recensire opere liriche per 14 anni in teatri prestigiosi come il Teatro alla Scala, il Covent Garden e l’Opéra di Parigi. Ha inoltre curato contenuti culturali e musicali per diverse pubblicazioni. Negli ultimi anni ha scritto per la rubrica In Arte, trattando di mostre, teatro e arti letterarie a Roma, collaborando con istituzioni come le Scuderie del Quirinale e i Musei Vaticani. Ha recensito spettacoli teatrali, con particolare attenzione al musical e alla prosa, ed è accreditato presso i principali teatri italiani. La sua competenza lo ha reso un ospite frequente in programmi televisivi culturali, oltre a ricoprire il ruolo di giudice permanente per il Premio Letterario Andrea Camilleri. Attraverso i social media, promuove l’arte e la bellezza, fondendo abilmente leggerezza e profondità, rendendo questi temi accessibili a un vasto pubblico.

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