Una madre accarezza il volto della sua bambina, il momento del racconto serale si trasforma in un rituale intimo e carico di emozione. La piccola, con gli occhi pieni di curiosità, chiede una storia speciale: un ricordo d’infanzia della mamma. Dopo un attimo di riflessione, il viaggio narrativo ha inizio.
Firenze, 25 settembre 1943. Una notte in cui il fragore della guerra si mescola ai sussurri della paura. La città, immersa in un’oscurità irreale, viene sorvolata da 36 bombardieri Wellington. L’obiettivo è strategico: la stazione ferroviaria di Campo di Marte. Ma le bombe non raggiungono il loro bersaglio. Invece, colpiscono il cuore della città, scuotendo case, cortili e vicoli. Tra le rovine, la vita resiste.
Nelle profondità di una cantina sotto Palazzo Pitti, un rifugio improvvisato ospita decine di persone. Tra loro c’è Vittoria, moglie del sovrintendente ai beni culturali. Una donna abituata agli spazi nobili, che ora condivide il suo respiro con altri, in un luogo senza privilegi né distinzioni. Accanto a lei, una giovane balia stringe al petto due neonati. Il trauma ha prosciugato il suo latte, e i piccoli piangono disperati. Senza esitazione, Vittoria li allatta, trasformando il rifugio in un simbolo di speranza. In quel gesto, c’è l’essenza dell’umanità: un’azione che annulla il terrore e unisce nel nome della sopravvivenza.
Questa storia, così intima e potente, è al centro di uno spettacolo che combina narrazione e teatro, riportando alla luce un passato che ancora parla al presente. Cristiana Capotondi guida il pubblico in un viaggio emozionale, muovendosi su un palco essenziale, dove il bianco diventa una tela da immaginare. Le proiezioni grafiche evocano una Firenze onirica, come vista dagli occhi di una bambina che ascolta, tra realtà e fantasia. Non è solo una scenografia: è un ponte tra la narrazione e l’immaginazione.
Capotondi domina la scena con una presenza magnetica. La sua voce, misurata e profonda, accompagna il pubblico tra i dolci ricordi di una madre e i boati della guerra. Ogni gesto, calibrato dalla regia sensibile di Marco Bonini, porta significato. È come se il suo corpo si fondesse con le immagini proiettate, diventando il filo conduttore che unisce passato e presente.
Le musiche di Jonis Bascir sono un elemento essenziale, mai invadente, che amplifica le emozioni. Note delicate si intrecciano con silenzi carichi di significato, creando un ritmo che permette al pubblico di respirare e riflettere. Il silenzio diventa esso stesso un linguaggio, un momento per assorbire la forza della storia.
Questo spettacolo non è solo una narrazione di eventi storici. È un omaggio alla memoria e al coraggio, un racconto che intreccia il personale con l’universale. La figura di Vittoria emerge come un simbolo di resilienza e amore, capace di trasformare il terrore in umanità. La bambina che ascolta non dimenticherà mai questa storia, e nemmeno il pubblico. Perché, come ci ricorda questa pièce, anche nelle tenebre più fitte, un gesto d’amore può accendere una luce.
Un racconto che non si limita al passato: illumina il presente, suggerendo che la solidarietà e il coraggio sono forze che trascendono il tempo. La vittoria è la balia dei vinti è molto più di uno spettacolo: è un’esperienza che rimane nel cuore, un promemoria della capacità umana di trovare bellezza anche nel caos.