uno spettacolo di e con Filippo Timi
con Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Lietti, e Gabriele Brunelli
Produzione Teatro Franco Parenti – Fondazione Teatro della Toscana
Amleto², ideato e interpretato da Filippo Timi, si colloca al confine tra teatro e happening. Non una rappresentazione canonica, bensì una frammentazione di suggestioni: la tragedia shakespeariana viene smembrata, ricomposta, inquinata da echi grotteschi e richiami pop. Il protagonista, con la sua vena ironica e la presenza scenica magnetica, non si limita a incarnare il principe di Danimarca, ma utilizza il personaggio come specchio per riflettere le sue ossessioni e visioni. Lo spettatore viene immediatamente proiettato in un universo circense: il sipario si apre su una scena dominata da un trono barocco, avvolto da panneggi di velluto e circondato da palloncini neri, evocazione di un mondo sospeso tra gioco e tragedia.
La scenografia è volutamente esagerata, un collage di elementi che spaziano dal sublime al kitsch, simbolo del caos contemporaneo. Ogni dettaglio sembra amplificato: colori sgargianti, suoni discordanti, contrasti stridenti. La struttura drammaturgica è liquida, il testo shakespeariano ridotto a traccia evanescente. Timi destruttura e reinventa la narrazione, alternando citazioni da Carmelo Bene e dal cinema a riferimenti a icone come Marilyn Monroe e Lorella Cuccarini. La colonna sonora, altrettanto eclettica, alterna brani di musica classica a hit anni Ottanta, accentuando il senso di disorientamento.
Gli attori che affiancano Timi brillano per intensità e versatilità. Marina Rocco, nella parte di un fantasma paterno evocante la sensualità di Marilyn Monroe, è una figura perturbante, sospesa tra parodia e tragedia. Elena Lietti interpreta un’Ofelia fragile, eterea, il cui dolore è trasfigurato in un’immagine preraffaelita. Lucia Mascino domina la scena nei panni di una Gertrude irresistibilmente sopra le righe: sboccata, ironica, profondamente umana. La sua figura, con la cofana di capelli e i guanti scintillanti, incarna un equilibrio precario tra comicità e pathos.
Timi stesso, al centro della scena, non è semplicemente Amleto, ma un’emanazione di esso. Il suo personaggio è un clown malinconico, un Pan irriverente, un fanciullo tragico in bilico tra la vita e la morte. L’ambiguità è la cifra distintiva della sua interpretazione: maschile e femminile, sublime e ridicolo si intrecciano in un gioco continuo di specchi. La sua energia contagiosa dialoga con il pubblico, rompendo e dissolvendo ogni residuo della quarta parete.
Il ritmo dello spettacolo è scandito da una musica che riflette la sua natura schizofrenica, passando senza soluzione di continuità da melodie colte a motivi leggeri, in un’alternanza che amplifica il senso di vertigine. Nulla è stabile, nulla è prevedibile: ogni elemento contribuisce a una riflessione sul teatro e sulle sue infinite possibilità. L’opera shakespeariana diventa una lente deformante, attraverso cui osservare le contraddizioni del presente.
L’ironia è il filo conduttore di questa creazione. Ogni momento sembra giocare con le aspettative dello spettatore, smontando e ricostruendo le convenzioni teatrali. La tragedia si trasforma in parodia, il dramma in gioco, rivelando una verità profonda, nascosta dietro la maschera del grottesco. Non è uno spettacolo destinato a tutti: la sua natura sperimentale sfida il pubblico, lo costringe a confrontarsi con i propri pregiudizi sulla rappresentazione e il suo significato.
Alla fine, quando il sipario cala, resta un senso di vertigine. Amleto² è molto più di una reinterpretazione shakespeariana: è una festa teatrale, una celebrazione della follia creativa, un invito a esplorare il gioco infinito del teatro e della vita.